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quando cioè tu non eri e non potevi più essere fidanzata col povero France-
sco? Del resto egli era incapace di una bassa azione, ed ora tu lo calunnî per-
ché è morto?
Eva continuò a strillare; si avvicinò molta gente, e due guardie pregarono
me e l'Eva di recarci in questura per definire la nostra questione».
Qui Ottavio Magrini descriveva la scena avvenuta in questura, e conclude-
va col dire che aveva querelato l'Eva per furto qualificato, per ingiurie, ecc.
Ora non restava che cercar le prove della visita della ragazza alla vecchia
Magrini, e del come Francesco, del resto superiore ad ogni sospetto, non fa-
cesse più l'amore con l'Eva da circa un anno.
Le prove furono trovate, ed Eva fu condannata. Una sola personcina a-
vrebbe potuto salvarla: Disperazione; ma Disperazione era troppo occupata
nei suoi giri e nei suoi piccoli affari, per potersi ingerire degli affari di fami-
glia. Soltanto rispose sì alle domande che gli zii le rivolsero.
Eva era stata a visitare la nonna? Sì. S'era Eva avvicinata allo specchio? Sì.
Aveva guardato dentro il cassetto? Sì.
Dell'avventura notturna non disse parola; le pareva che gli zii avrebbero
capito ciò che ella era andata a fare, quella notte, fra i cespugli della riva.
D'altronde ella non capiva bene di che si trattasse, e credeva che Eva aves-
se realmente rubato il fermaglio, come tutti affermavano. Inoltre non osava
mai nominare Francesco, perché aveva paura del suo spirito.
Solo più tardi ella capì ogni cosa, e sentì la responsabilità del suo incoscien-
te procedere. Ma era tardi; Eva aveva già scontato la condanna, e Speranza
giudicò inutile parlare.
Ella aveva allora sedici anni e faceva l'amore con un bel moliner [15] bion-
do, roseo, incipriato di farina, col quale aveva voluto scambiare anche lei la
promessa dell'apparizione degli spiriti. Avrebbe voluto anche scambiare la
minaccia della vendetta postuma, in caso di tradimento; ma ricordava il fatto
di Eva e di Francesco e aveva paura. Le pareva che la condanna di Eva fosse
stata la vendetta di Francesco: e con ciò scacciava anche i suoi tardivi scrupoli
di coscienza.
LO STUDENTE E LO SCOPARO
Era d'ottobre.
Appoggiato, o meglio arrampicato sul muro rossiccio della vigna, lo stu-
dente e giornalista Lixia guardava il paesaggio aspro e melanconico, il cui ri-
cordo gli aveva qualche volta destato impeti di nostalgia.
Era un lembo d'alta pianura, coperto di scopeti, fra il cui verde cupo deli-
neavasi una strada giallognola, larga ma dirupata, e spiccavano roccie rossa-
stre chiazzate di musco rugginoso. Il cielo d'un azzurro cenerognolo pareva
ancor più chiaro sulla cupa linea degli scopeti che si diramavano fino all'o-
rizzonte. Solo un'allodola interrompeva col suo grido sfumato il silenzio del
paesaggio, e solo una piccola nuvola, bianca e tenue come una piuma, inter-
rompeva la solitudine dell'orizzonte; e pareva che l'allodola, un po' annoiata
e triste, dirigesse il suo grido alla nuvola; e che la nuvola avesse fermato il
suo corso solitario e noioso per ascoltar l'allodola.
Lixia guardava e anch'egli s'annoiava. Sentiva una perfida sonnolenza ve-
largli la mente: gli pareva che l'ombra del fico immobile sul muro rossiccio
un'ombra pesante e letale gli calasse sul pensiero.
Che melanconico e disgraziato paese è la Sardegna! pensava. An-
che le nuvole e gli uccelli ci si annoiano. Mentre tutto il mondo si agita e
cammina, essa sola, l'isola morta, tace. E ciò che ancora non è morto agoniz-
za, così, come la vigna di mio padre questa vigna che sola viveva nella
landa selvaggia muore di filossera. L'anno venturo non ci saranno che i
muri e questo fico, se pure ci saranno. Ed io non sarò buono a ripiantarla, la
nostra vigna! Come potrei? Mi intendo io di vigne? Ma chi è quell'uomo? Ah,
zio Pascale; ecco che il paesaggio è completato dalla sua figura triste e dura.
Pare un uomo di ferro arrugginito, quel vecchio. S'io fossi pittore simbolista
disegnerei quel vecchio, così, fra due scope, accanto ad una roccia sanguigna,
sul cielo anemico, e intitolerei: Sardegna.
Lo scoparo s'avanzava lentamente, tagliando qua e là i migliori cespugli;
ed a misura che egli si avvicinava, lo studente udiva distintamente un gemi-
to, una tosse repressa, risuonante più entro il petto che sulle labbra del vec-
chio.
Zio Pascale aveva forse la febbre e vaneggiava perché, quando egli giunse
proprio sotto il piccolo rialto sul quale arrampicavasi il muro della vigna, Li-
xia lo udì parlare vagamente, come un sonnambulo.
Maria Annicca, diceva il vecchio scoparo, con leggero rimprovero,
perché hai fatto ciò? Non sapevi che egli era un riccone? Ecco lì, sta ferma.
Dove è la bisaccia? Ah, come farò io, San Francesco mio d'argento? Pascaled-
du, agnello d'oro, non tormentarmi così...
Zio Pascale? chiamò lo studente.
Il vecchio, curvo a tagliare con una piccola falce un cespuglio di scope, s'al-
zò di scatto, come svegliandosi da un sogno, e mise la mano sugli occhi in-
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